
Da Foggia al mondo, passando per la Luiss. Cosa sognava di fare da bambina?
Mio padre era avvocato e ai tempi, nella mia città, il parterre era di giudici, avvocati oppure agricoltori… l’industria, l’azienda, i manager non esistevano nella mia dimensione; quindi, pensavo di fare l’avvocato e inizialmente a Roma mi sono iscritta a giurisprudenza alla Sapienza. Il collegio delle Orsoline in cui abitavo affacciava su viale Pola, sulla Luiss, e guardando dalla finestra quell’andirivieni di ragazzi e ragazze sognavo di essere anch’io una di loro. Avendo fatto il liceo classico, però, avevo un po’ di remore a iscrivermi in Economia e Commercio perché pensavo di non avere la preparazione adatta, ma ho fatto comunque il test di ammissione e l’ho passato, ho preso una borsa di studio degli Amici della Luiss e ho cominciato. All’inizio ho avuto qualche difficoltà, ma mi sono appassionata tantissimo alle materie scientifiche. Poi un giorno il Professor Di Lazzaro mi ha detto “vai a New York” e a gennaio ’86, con la valigia con la corda, da sola, senza saper parlare più di 3 parole di inglese, arrivai nella Grande Mela.
Cosa l’ha motivata di più in quel viaggio oltreoceano?
Devo dire che la curiosità mi ha sempre spinto a superare la mia comfort zone. Volevo sperimentare, vedere cosa c’è dietro l’angolo e in maniera quasi inconsapevole, perché non è che avessi un obiettivo chiaro, continuando a camminare, mi sono trovata a fare un MBA con una borsa di studio e poi le interviste con le banche d’affari. Non sapevo neanche cosa fossero, all’inizio, ma ero attratta da quei grattacieli e pensavo “che bello sarebbe lavorare da qui”. E così è stato. Ancora oggi, sinceramente, quando penso a quel momento non mi riesco a spiegare come sono riuscita ad arrivare al centro del mondo della finanza mondiale, a far parte di Wall Street e a fare la mia carriera. Evidentemente hanno visto la passione nei miei occhi, la diversità… chissà!
In ogni caso, hanno visto bene! Dalla fine degli anni ‘80 a oggi, com’è cambiato il mondo della finanza, considerando le aziende e le città in cui ha lavorato?
Molto è cambiato, soprattutto dopo il 2008, dalla percezione da parte dei clienti e degli operatori, al giudizio su chi si occupa di finanza. Mentre prima il banchiere aveva uno status sociale molto ‘glamour’, c’è stato un periodo in cui era considerato complice di latrocinio.
Oltre all’immaginario, cos’altro è cambiato significativamente?
Il contenuto è diventato molto più una commodity. Quando ho cominciato io non c’era internet, quindi ad un cliente portavi informazioni e creavi valore aggiunto. Adesso è più difficile sorprendere l’interlocutore, e quindi il lavoro è più execution di qualcosa che è diventato commodity. Ai tempi delle privatizzazioni siamo stati, invece, dei pionieri a importare le tecniche della finanza di Wall Street in un mercato, come quello italiano, che era ancora poco sviluppato.
Adesso si occupa di finanza sostenibile. Di cosa si tratta?
Cerchiamo imprenditori che non sono venditori della propria azienda, ma che creano valore per il Paese, hanno progetti di sviluppo, vogliono crescere e andare all’estero, raddoppiare la loro capacità produttiva, e lo vogliono fare non indebitandosi, ma trovando un partner che contribuisca in termini di risorse e di capitale umano, ossia mettendo a disposizione professionalità, network e conoscenze. Quando il progetto è arrivato a compimento, l’imprenditore, la maggior parte delle volte, si ricompra la nostra quota dopo aver creato un’azienda più grande, che ha consolidato la filiera, assunto più lavoratori e soprattutto è rimasta in Italia. È una win-win situation la vera finanza sostenibile.
In questo approccio di restituzione c’è anche l’Investment Club Luiss Alumni 4 Growth. Come è nata l’idea e perché ha sposato questo progetto?
In Italia manca la cultura della donazione, ma noi come Alumni volevamo far qualcosa per cambiare la mentalità a partire dalla Luiss. Ecco perché abbiamo costruito una formula in cui il 50% delle plusvalenze è destinato a progetti di mobilità sociale attraverso l’istruzione universitaria.
Veniamo ai giorni nostri, come ha vissuto la nomina di Alumna dell’anno?
È stato fantastico! Forse è stata la cosa che mi ha dato più soddisfazione di altre promozioni… È come se si fosse chiuso un po’ il cerchio, perché per me è stata proprio la Luiss ad aprirmi il percorso che poi ho fatto.
Nella sua carriera ha riscontrato delle difficoltà legate all’essere donna?
La difficoltà maggiore probabilmente è stata entrare nel gotha della finanza milanese. Mentre a NY le regole d’ingaggio sono più chiare, basate più sulle performance e su quello che riesci a fare, in Italia è più complesso avere l’opportunità di dimostrare che sei brava.
Cosa si sente di suggerire alle nuove generazioni di laureati Luiss?
Intanto di non farsi chiudere da un’idea di quello che devono fare, non avere il paraocchi verso il mondo esterno, di avere la curiosità di uscire dalla loro comfort zone e credere nella meritocrazia, perché nel medio periodo, se sei una persona dedicata, educata, determinata, ce la fai. Io ce l’ho fatta!
Virginia Gullotta, Giornalista