16 Febbraio 2023

Didattica, ricerca e divulgazione nel dibattito universitario e pubblico con Claudio Mattia Serafin

Il moderno dibattito culturale e accademico sta prendendo nuove direzioni, soprattutto nel cercare di comprendere le future metamorfosi del corpo sociale giovanile, nei prossimi decenni.

Quale formazione, quale orientamento dare alle ragazze e ai ragazzi: un quesito pedagogico fondamentale, affrontato di recente in un importante convegno (svoltosi dal 2 al 4 febbraio 2023, Università di Bologna, con il titolo “Sistemi educativi, orientamento, lavoro”). In tale sede, sono state ribadite l’importanza della direzione etica dell’insegnamento, e soprattutto la rilevanza strutturale dello stesso nella crescita a tutto tondo delle fasce sociali giovanili. E infatti tutti, a partire proprio da docenti e formatori, si chiedono: l’istituzione universitaria soddisferà ancora i cangianti bisogni dei ragazzi, un domani professionisti, nel prossimo futuro? È del tutto possibile che la risposta sia positiva, dal momento che l’impianto tensionale dell’animo umano tenterà sempre di andare alla ricerca di nuove domande, come anche di nuove risposte. È inevitabile: è un sentimento innervato nello spirito individuale. Può affievolirsi per un po’, ma poi quell’istanza tornerà a farsi sentire.

Anzitutto, rimane ancora aperta la questione del rapporto tra profili umanistici, e quelli, per così dire, scientifici. Forse sarebbe meglio qualificarli come tecnici? Salvatore Satta sosteneva che la scienza (medica, naturalistica, eccetera) è certa, e che il diritto non lo è affatto. Il diritto è filosofico, speculativo, incerto: si ricollega a quell’atteggiamento del dubbio, contrapposto alla certezza del dato enciclopedico, storico, didascalico. Eppure, la tecnica informa il diritto. La tecnica è atteggiamento istituzionale, forma, rispetto dell’interlocutore, serietà nell’approccio professionale. Checché se ne dica, la tecnica è fondamentale, nel misurarsi con il mondo, per poi migliorarlo; da sempre, il diritto e le scienze sociali sono l’espressione di questo modus tecnico-istituzionale, e in questo la Luiss è caposcuola nel formare personalità del settore. Ultimamente, fatto non errato, la tecnica sembra chiedere a se stessa maggiore ariosità, quasi come volesse provare quella pietà che strutturalmente non le sarebbe propria; l’umanesimo, d’altro canto, è (sempre più) arbitrario, benevolmente disordinato, ma coloro che si avvicinano a esso sono tentati dalla detenzione di quel primato critico e morale, inebriante e fuori controllo. In realtà (e in conclusione), tutto l’umanesimo e tutta l’arte, che è sua emanazione, sono liberi, pur distinguendosi in forme espressive alte e in forme espressive – volutamente – basse. Come mai negli ultimi tempi il dibattito pubblico si è fatto incessante proprio attorno ai temi del digitale, della tecnologia, dell’intelligenza artificiale? I focus di una discussione sono sempre i benvenuti, proprio perché orientano la ricerca e spesso stimolano l’ottenimento di risultati teorici, concreti; oppure creano soltanto suggestioni, da sempre le più utili, perché le più resistenti allo scorrere del tempo, il quale purtroppo incide sulla memoria (fattore molto umano…).

Cosa sono il digitale e la cd. intelligenza artificiale? Molto spesso si tende a parlare di questa branca, in quanto è divenuta di tendenza, ed è de facto onnipresente nel giornalismo, nella divulgazione, ecc. L’informatica, per certi versi, ha sconvolto gli ambiti di ricerca, penetrando nel dibattito filosofico e scientifico; i pensatori, ovviamente, hanno tutti quanti reagito a vario modo, chi accogliendo favorevolmente questa corrente, chi criticandola aspramente (e qui si inserisce tutto il discorso della tecnica, e della sua artificiosità e automatismi, e via dicendo). Inoltre, similitudini si riscontrano tra l’intelligenza umana, e i suoi limiti, e l’intelligenza artificiale, con i suoi ancora più evidenti limiti (campo esplorato, ad esempio, dalla cibernetica e finanche da correnti narrative e poetiche, come il cd. cyberpunk). C’è chi ha provato a dare una definizione. L’I.A. simula il comportamento dell’uomo ed è espressione per la prima volta utilizzata da Marvin Minsky, negli anni Cinquanta del secolo scorso. Il digitale e l’I.A. in fondo sono le ultime trovate della tecnologia, tecnologia che esiste da sempre, a seconda dei suoi sviluppi (anche le infrastrutture sono tecnologia, la meccanica, ecc.). Basti pensare che vi sono stati meccanismi inventati da illustri filosofi, come i calcolatori ideati da Pascal e Leibnitz, una sorta di prototipo di calcolatrice. Alan Turing costruisce un computer teorico, che simula l’attività di calcolo, e ha ideato l’omonimo test che porta il suo nome, secondo il quale se è impossibile distinguere le risposte umane da quelle artificiali, la macchina è pari all’uomo (posizione che in ambito artistico è stata elaborata, tra i tanti, da Philip Dick).

L’intelligenza artificiale e il digitale dovrebbero quantomeno simulare il comportamento umano, le sue reti neurali, la capacità decisionale, in breve cercano di assomigliare in tutto e per tutto alla volontà umana, se non anche alla sua volontarietà (ovverosia l’intenzione di raggiungere determinati risultati); tanto per dire, il computer è in grado di produrre la cd. esplosione combinatoria (le combinazioni di numeri, o le mosse degli scacchi), che non è assolutamente imitabile da alcun essere umano. I filosofi (ad esempio Searle), tuttavia, obiettano a tutta questa ricostruzione che nella macchina è fondamentalmente assente qualsivoglia traccia di intenzionalità. Con l’evoluzione dell’I.A. e dei robot, sempre più simili all’essere umano (si pensi ai software vocali presenti nei telefoni, nei tablet, ecc.), c’è da chiedersi infatti se l’intelligenza umana, così imprevedibile, ricca e contraddittoria, possa essere ricondotta a una serie di funzioni. La risposta è ovviamente negativa, anche solo da un punto di vista etico. Eppure, Putnam ritiene accostabili, concettualmente, la mente umana e il software da un lato, e il corpo fisico e l’hardware dall’altro. Forse è l’essere umano a non essere più aggiornato, per riprendere una ironica e paradossale provocazione di questa letteratura?

È chiaro, dunque, che alcuni filosofi ritengono accettabile la posizione secondo la quale la mente umana possa essere assimilabile a un processo informatico, mentre altri se ne distanziano con stizza, in un dibattito senza fine che vede dunque alternarsi queste due soluzioni; c’è chi dice che anche la mente umana sia assimilabile a un processo informatico (Putnam mente e corpo a software / hardware), in un dibattito senza fine che vede dunque alternarsi queste due soluzioni.

 

Claudio Mattia Serafin, Professore universitario.