
Il 13 febbraio si è svolta la III edizione del Luiss Diplomatic Forum su “Diplomazia della crescita e futuro delle Relazioni Transatlantiche”, un appuntamento ormai consolidato volto ad offrire un confronto tra la rete dei Diplomatici stranieri e italiani, le Istituzioni e le aziende italiane che operano a livello internazionale. Quest’anno, alla luce della complessità delle vicende internazionali legate alla crisi russo-ucraine con il conseguente aumento del caro materie prime, c’è ancora più attesa per il dibattito che racconterà gli scenari geopolitici e delle relazioni internazionali attuali. Cosa dobbiamo aspettarci?
Il tema di quest’anno sono stati i rapporti transatlantici: il mondo si sta trasformando, siamo in un momento in cui i rapporti tra l’Europa e gli Stati Uniti, e tra l’Italia e gli Stati Uniti vivono una fase di rilancio. Questo si integra anche a quello che Luiss sta facendo in termini di internazionalizzazione, dove gli Stati Uniti hanno un ruolo importante. Stiamo assistendo a livello mondiale a una ripolarizzazione, i rapporti all’interno del blocco occidentale sono ancora più importanti e quindi ci sembrava opportuno dedicare un momento di riflessione come il Diplomatic Forum a questa tematica. Tra tutti gli operatori del settore, inoltre Diplomatic Forum è l’ambito in cui vogliamo portare insieme tutti gli stakeholder dell’internazionalizzazione del Paese, ovvero la diplomazia italiana e straniera, gli studiosi, gli analisti e i politici internazionali. È un momento di incontro principalmente per i diplomatici ma con tanti rappresentanti del mondo delle imprese.
Nel corso degli anni è stato sottoscritto un accordo con Cina e Stati Uniti per istituire una laurea tripla in Business Administration; lo scorso 29 ottobre è stata lanciata la Luiss US Foundation. Sono solo alcuni esempi dell’impegno che la Luiss compie per dare ai propri studenti una formazione di ampio respiro internazionale. Quali sono i progetti in cantiere?
La ripolarizzazione e la riconfigurazione degli equilibri e soprattutto delle alleanze internazionali nelle dimensioni politiche, economiche e di sicurezza inevitabilmente, come accennavo, ha provocato una riflessione anche in Luiss. I rapporti all’interno dell’Unione Europea e della NATO sono una dimostrazione di come la crisi russo-ucraina abbia dato una spinta forte per rinsaldare i rapporti a livello europeo e transatlantico. Così come la tensione con la Russia e la Cina sta portando a un ripensamento del modello economico e delle catene globali del valore. Il discorso transatlantico oggi è lanciato su più fronti: politico, economico e sicurezza militare. Per quanto riguarda i progetti della Luiss, l’internazionalizzazione della nostra università è nata in Europa, e per questo prioritariamente vengono sviluppato rapporti con i partener europei; subito dopo abbiamo guardato al Nord America perché lì hanno luogo quei rapporti di cui parlavamo e perché si trovano università prestigiose e di qualità che aiutano a crescere. Abbiamo sviluppato anche rapporti in altre aree, come in Asia e in Cina. Solo, in Nord America abbiamo cercato di farci conoscere di più. Siamo una realtà che sta crescendo vistosamente in termini di visibilità e reputazione internazionale e negli ultimi ranking ci posizioniamo costantemente tra le prime cento università, e in alcuni settori anche meglio. Per esempio, per scienze politiche siamo la numero 14 al mondo e la prima in Italia; è stata una crescita repentina che però, deve ancora consolidarsi in termini di visibilità oltre l’Europa. Farci conoscere è fondamentale dal momento che siamo in grado di offrire una formazione di qualità che sia competitiva con la maggior parte delle università americane e a costi ben minori. Vanno colte pertanto, le opportunità del contesto amaricano, di reclutamento di studenti; per esempio, sono diversi gli americani che vengono a studiare da noi. Il reclutamento avviene anche guardando al sottoinsieme delle comunità italo-americane, dal momento che le Nazioni Unite sono il terzo Paese per presenza di oriundi italiani, dopo Brasile e Argentina. Parliamo di oltre 20 milioni di persone con origine italiana più o meno forte, una fetta di popolazione che guarda all’Italia, dimenticata dal nostro Paese per troppi anni. Se la comunità italo-americana a cui guardiamo venisse ringaggiata – questo è il nostro obiettivo – molti avrebbero l’opportunità di ritornare in Italia, di formarsi e diventare un ponte ancora più solido tra Italia e America. Lo stesso si farà anche in Sud America, dove si trovano comunità importanti di italo-americani.
Il passo successivo al reclutamento sarà un partenariato tra istituzioni americane. Sono già in essere accordi con università prestigiose soprattutto nella costa orientale, ma anche in America Centrale e California; il nostro partner principale e strategico è l’università George Washington di Washington, tra le prime in America e localizzata nella capitale. Tendiamo a privilegiare i rapporti nelle capitali e la George Washington ha uno standing pari al nostro. Tra gli importanti accordi stipulati con loro, uno dei principali riguarda la tripla laurea, inaugurato l’anno scorso, che consentirà agli studenti di trascorrere un anno a Roma, uno a Pechino e uno a Washington in business administration, conseguendo tre lauree. Altri accordi sono stati stipulati con la Fulbright, per portare studenti e docenti americani in Luiss, con l’ausilio di borse di studio, e ancora con altre università. Al momento, stiamo lavorando a un altro triple degree ma in politics, sarà una laurea triennale tripla, transatlantica: Roma, Londra e Washington. Il partner inglese sarà il Kings College, ma comunque parliamo sempre di università tra le prime trenta al mondo. Questo, sarà in assoluto il primo triple degree in politics a livello mondiale, mentre in bussiness administration qualcosa esisteva già, pur non mettendo in contatto le prime tre capitali del mondo. A far funzionare tutto ciò è la Fondazione, creata qualche mese fa, a Washington che ci aiuterà farci conoscere e raccogliere fondi per lanciare progetti transatlantici di varia natura. Un’altra progettualità importante transatlantica è quella in cui stiamo lavorando al primo corso executive in business transatlantico, è un progetto molto ambizioso, mette insieme le sei economie più importanti transatlantiche, cioè: Stati uniti, Canada, Francia, Inghilterra, Germania e Italia. Sei economie, sei università, tutte nelle capitali e qui stiamo parlando di nuovo di sei università top a livello mondiale e poi le sei Confindustrie. Sarà un meccanismo di formazione e networking eccezionale che metterà insieme le persone che fanno business in Europa, in Nord America a livello transatlantico e le formerà in un formato multi-stakeholder, in cui ci saranno accademie, università e Confindustrie nazionali. Un corso transatlantico non è mai esistito. Questa è un’iniziativa concreta che veramente cementa e rafforza i legami transatlantici a livello di business.
La Luiss Guido Carli da sempre è ritenuta la migliore università nella formazione dei diplomatici. Proprio in questi giorni è stata pubblicata la graduatoria di merito dei vincitori di concorso al MAECI che mostra come 12 candidati su 35 siano Alumni Luiss. Anche il primo classificato, Francesco Robustelli, è nostro Alumnus. Qual è il segreto di questo successo?
Certamente c’è stato un investimento in termini di risorse umane, abbiamo cominciato a reclutare in modo più mirato. Un investimento e una scelta strategica. Nel momento in cui l’ateneo ha scelto di impegnarsi maggiormente a livello di internazionalizzazione, è nato un investimento. Per esempio, assumendo docenti stranieri, trasformando la didattica – adesso la Luiss è bilingue e la maggior parte dei corsi sono insegnati in inglese, assumendo personale straniero anche nell’amministrazione, ricercando sempre più accordi internazionali, creando la figura del prorettore all’internazionalizzazione che prima non c’era. Diverse iniziative intraprese, arrivate dalla consapevolezza dell’importanza della dinamica del ranking: per giocare bisogna conoscere il gioco. Abbiamo fatto tanti investimenti e trasformazioni, dai docenti e il personale amministrativo, nella didattica, nella ricerca, nei ranking, negli accordi internazionali; tutto questo poi, porta risultati. Invitando sempre più docenti stranieri come visiting professor, entrando in reti internazionali, promuovendo noi stessi reti internazionali di università, e una serie di attività evidenti.
La Luiss fino a qualche decennio fa era un’università di eccellenza con una prospettiva ancora nazionale rispetto a oggi. Un cambiamento c’è stato soprattutto in termini di mentalità: internazionalizzazione non può significare solo inviare gli studenti all’estero. Il passo successivo non è far andare i tuoi studenti all’estero ma portare gli studenti stranieri da noi, diventare un’università che attrae a livello internazionale gli studenti, non è più solo l’accordo di destinare gli studenti sei mesi a Parigi, a Londra, che è importante, ma significa diventare un’università globale, radicata in Italia ma di respiro internazionale, che è capace di attrarre studenti. Questo ha richiesto un cambio di mentalità, dalla mensa in cui c’è il menù in doppia lingua, tutti i documenti sono in doppia lingua, tutto ciò che è in giro per il campus è in doppia lingua. Se ci si candida a diventare un polo di attrazione internazionale, si può certamente sperare che uno studente straniero voglia imparare l’italiano, ma ragionevolmente non si può pensare che lo studente medio internazionale faccia un investimento tale. Rimanere con quella logica, significa rimanere fuori dal mercato dell’educazione mondiale che oggi parla la lingua inglese.
Il mondo complesso in cui viviamo sta registrando un’evoluzione della figura del diplomatico che sta acquisendo un ruolo sempre più centrale anche all’interno delle realtà aziendali. Ci racconti di questa evoluzione.
L’Italia può dirsi una potenza civile, cioè un Paese che grazie alla propria forza economica riesce ad avere un peso internazionale; inoltre, contano anche il proprio valore culturale ed economico. Questi aspetti ci danno forza a livello internazionale. La diplomazia italiana deve essere sempre più in grado di promuovere il Paese nel suo complesso, ma i vettori economico e culturale sono cruciali. Oltre alle doti tradizionali dunque, intessere rapporti bilaterali e multilaterali all’interno delle istituzioni internazionali: questo è stato sicuramente recepito e implementato dal MAECI che ha creato da poco una nuova divisione sulla diplomazia culturale e del soft power, dedicata a promuovere in modo competitivo il patrimonio culturale italiano attraverso la promozione della lingua, dei prodotti culturali italiani. Anche il Ministero ha riconosciuto questo aspetto, creando una divisione apposita guidata dall’ambasciatore Terracciano. Così come è stata riconosciuta anche a livello istituzionale l’importanza della promozione economica: oggi l’ICE è stato portato dentro la Farnesina, a motivo del fatto che è sempre più importante per fare politica estera, dal punto di vista italiano è importante far leva anche sullo strumento economico. C’entra anche la capacità dei diplomatici italiani di giocare un buon ruolo all’interno delle istituzioni internazionali, di occupare importanti posizioni, mentre al momento siamo molto presenti a livello medio, meno a livello apicale.
Il ruolo centrale della diplomazia è sempre più importante in un mondo sempre più globalizzato, in particolare per un Paese come l’Italia, dove le esportazioni rappresentano un elemento fondamentale all’interno del quadro economico nazionale. Quali saranno le sfide che il nostro Paese dovrà affrontare nei prossimi anni?
L’Italia ha una lacuna, ovvero gli italiani all’estero. Gli italiani con il passaporto sono circa sei milioni, un decimo di quelli vivono all’estero. Non dobbiamo dimenticarci di questo numero che vota ed esprime i seggi all’estero, così come degli italiani di seconda, terza generazione che vivono in Argentina, Brasile, Stati Uniti e in Francia, Germania, Belgio. Tra questi, alcuni non hanno il passaporto italiano, ma hanno raggiunto posizioni importanti negli USA: Mike Pompeo, Nancy Pelosi, Di Blasio, il sindaco di New York, ma la lista è molto lunga. Non sono persone italiane, ma di origine italiana, abbiamo un patrimonio che non siamo stati in grado di sfruttare. Ai primi del ‘900, l’Italia quasi si vergognava dei propri immigrati, dopo si è dimenticata di loro e adesso abbiamo dato il voto ad alcuni di loro. Ci sono più persone di origine italiana fuori dal Paese che dentro il Paese. Questo è un tema su cui credo si debba investire e che spero sia oggetto dei prossimi progetti.
Intervista a cura di Chiara Rinaldi, componente di Direttivo dell’Associazione Laureati Luiss